Insonnia omicida
Era una fredda notte d’inverno e non riuscivo a prendere sonno. Le avevo provate tutte: camomille, conteggio delle pecore, tentativi di autoinganno ripetendomi "io ho sonno, ho talmente tanto sonno che ora Morfeo mi accoglierá tra le sue braccia", ma niente. I miei occhi non riuscivano a restare chiusi più di un minuto e Morfeo quella notte sembrava essersi dimenticato di me. Stanca di rigirarmi tra le calde coperte del mio umile giaciglio ed ostinata a non ricorrere ai sonniferi decisi di distrarmi un po’ mettendomi davanti al computer. Nell’oscuro silenzio della notte gli unici rumori percepibili erano il ticchettio del mio orologio da polso e il rumore della ventola del computer che faticava instancabilmente nell’ansia di mettermi in contatto col mondo con un semplice clic. Per prima cosa controllai la mail e dopo aver cancellato insulsi messaggi pubblicitari ne trovai una davvero interessante. Il mittente era una mia conoscente e la mail era stata inoltrata ad oltre venti sconosciuti. Bastó questo dettaglio a risvegliare la mia curiosità. Lessi la mail tutto d’un fiato, rimanendo allibita dalla tenacia che una ragazzina malata di cancro riusciva ancora a diffondere intorno a chi le stava accanto. Durante la sua agonia la sfortunata aveva scritto una dolcissima poesia sulla bellezza della vita. Promotore di questa diffusione era stato il medico che la curava, voleva diffondere il messaggio della sua paziente a quante più persone possibili. Dimentica del mio problema e quasi in lacrime per la poesia la inoltrai a tutti i miei contatti. Quasi a farsi beffe della serietà del momento, improvviso e inaspettato arrivò alle mie orecchie lo snervante cigolio delle molle del letto, gli arzilli vicini se la stavano spassando incuranti dei rumori da loro provocati. Data l’ora si sarebbero anche potuti limitare e nel rispetto del quieto vivere avrebbero dovuto persino evitare le urla di paura. Le urla non mi turbavano affatto, i miei vicini riuscivano ad essere persone fuori dal comune in tutti gli ambiti delle loro vuote vite, perchè perdersi la gioia di esserlo anche a letto. Incurante delle urla andai avanti nel mio tentativo di attirare l’attenzione di Morfeo cercando metodi per dormire consigliati dalla saggezza popolare. La ricerca non portò frutti ed io ero più sveglia che mai. Nel silenzio della mia insonnia un urlo risuonò agghiacciante, esprimeva così tanto terrore che mi fece gelare il sangue nelle vene. Senza un attimo di esitazione mi precipitai fuori dalla stanza, presi le sferraglianti chiavi e correndo mi diressi nel punto da dove era provenuto l’urlo. Con stupore potei notare che la porta dell’appartamento era spalancata e sullo stipite vi erano evidenti macchie di sangue. Allarmata della fugace visione irruppi nell’appartamento e la scena che mi si parò davanti era tutt’altro che idilliaca. Sul divano del soggiorno giaceva inerme in una pozza vermiglia il corpo di Fabiano, i suoi arti formavano un angolo innaturale. A giudicare dalla profondità e dal numero delle ferite l’assassino si era avventato con foga animale sul corpo della vittima. Trattenendo i conati di vomito e già immaginando ciò che avrei trovato in camera da letto mi diressi lì. La seconda scena era ancora peggiore della prima, se nella crudeltà della morte può esserci una situazione migliore o peggiore. Sorretto dal muro il corpo senza vita di Maria era stato massacrato e spogliato come a voler togliere gli ultimi residui di dignità all’innocente vittima. La cosa che più mi disgustò fu vedere che gli spenti occhi di Maria mi fissavano privi di espressione. Un brivido mi percorse la schiena, sentivo che non era finita. Con la coda dell’occhio notai un guizzo repentino che si avvicinava furtivamente. Ormai il killer si trovava di fronte a me. Non ci volle che un istante nel registrare nella mia mente la sua immagine e non faticai nel riconoscerlo: era Salvatore, il figlio di Fabiano e Maria. Il suo volto era segnato da un ghigno sinistro e nella tremante mano destra sorreggeva un coltello insanguinato. Mi misi a correre. Però Sasi, come lo chiamavo da bambina, mi bloccò dicendomi:
1 Commenti:
scusate ma nn e colpa mia se il mio pc e 1cesso ora vi scrivo i discorsi indiretti: "No, non correre. Non andare via, non voglio rimanere solo" al che risposi con voce incerta: "Come puoi chiedermi di rimanere con te dopo quello che hai fatto? Sei un folle, io chiamo la polizia" "Non ce n’è bisogno, ci ho gi pensato io. Volevo fuggire, ma a cosa sarebbe servito?" "Perchè li hai uccisi? Cosa ti hanno fatto di così grave da giustificare il tuo folle gesto?" "Volevo solo dormire. Loro lo sapevano ma continuavano a fare porcherie a letto. Urlavano. Si, urlavano e non mi lasciavano dormire in pace"
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